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La copertina, morbida e leggera, diventerà un’inseparabile coccola nella crescita del tuo bambino. Colorata e personale, lo accompagnerà dalle passeggiate al parco alla nanna nella cameretta.

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Categoria: News

Essere Grandi

Quando inizia l’età adulta?

E quando ci si rende conto di essere diventati grandi e maturi?

Una singola parola potrebbe riassumere questo concetto, un periodo di vita che segna l’inizio di uno stadio e la fine di un altro. È così che nei miei ricordi si palesò l’ingresso nell’età adulta per mio fratello.

La scuola sarebbe iniziata il giorno seguente, e tutto ciò che prima era considerato “giochi da bambini” avrebbe perso significato, trasformandosi in qualcosa di più grande.
Ma cosa rappresentasse esattamente questa transizione per noi fratelli, rimaneva un mistero. Forse significava che lui non avrebbe più giocato con noi, che l’innocenza del passato avrebbe ceduto il posto a nuove responsabilità.

La serietà della situazione fu evidente anche per mio fratello, che affrontò con consapevolezza la gravità di quel cambiamento. Rifiutò di salire per cena, deciso a giocare fino allo sfinimento.

La sua cartella era pronta, il suo nome scritto sul grembiule: non c’era via d’uscita, stava per diventare adulto.
Tra noi fratelli regnava una confusione curiosa, alimentata da domande su come lui si sarebbe svegliato il giorno seguente. Non ho un ricordo preciso di quel momento esatto, ma ricordo vivamente che l’essere cresciuto non sembrò influenzare significativamente le nostre lunghe giornate di gioco.

Insomma, nulla sembrò cambiare davvero, se non la sua temporanea assenza durante alcune ore della giornata.

La curiosità aumentò quando mio fratello tirò fuori libri e quaderni dalla sua cartella, sistemandoli sul tavolo con orgoglio. Matite, colori e accessori sembravano trasmettere un senso di bellezza e possibilità. Questo gesto significava che diventare adulto non fosse poi così male.

Tuttavia, la sensazione di solitudine e abbandono crebbe quando, dopo qualche anno, anche i miei altri fratelli raggiunsero quell’età. Mi ritrovai l’unica bambina rimasta, una sorta di outsider. Desideravo anch’io diventare grande, desideravo disegnare, leggere e scrivere.

Non sembrava poi così male, specialmente nelle serate invernali quando il buio arrivava presto e ci si trascorreva più tempo al caldo in casa. La cucina diventava un rifugio accogliente, con i libri di scuola colorati e attraenti sparsi sul tavolo. Mia madre si chinava su quei libri, aiutando i miei fratelli con qualche problema, correggendo qualche errore.

Infine, arrivò anche per me il momento di diventare grande.

Ricordo ancora il profumo dei quaderni, delle matite e delle gomme da annusare. La mia cartella era pronta, il grembiule appeso alla gruccia, troppo lungo e largo, ma doveva durare per anni.

Ero preparata, avevo imparato da vicino osservando i miei fratelli. L’emozione del primo giorno di scuola, la sensazione di una nuova classe, un banco immacolato, i capelli pettinati con cura: tutto concorreva a confermare che ero diventata grande.

Sapevo che sarei stata coinvolta nelle lunghe serate trascorse al tavolo della cucina, affrontando quaderni e tabelline, ma questa volta non era un gioco, era la realtà della crescita.

Colorare dentro i bordi

Ricordo ancora vividamente il periodo delle elementari, il primo giorno di scuola quando entrai in classe timidamente.

Era un momento di novità e per molti di voi probabilmente significava entrare in un ambiente completamente nuovo, senza conoscere nessuno. Nel mio caso, essendo cresciuta in un piccolo paesino, molti di noi si erano già visti in giro o ci conoscevamo dalla scuola materna.

Quel periodo rimane impresso nella mia memoria: io timida, indossavo il grembiule blu ben stirato, con il colletto bianco inamidato e una coda di cavallo così stretta da farmi male il cuoio capelluto. Portavo la cartella sulle spalle, pronta ad affrontare questa nuova fase della mia vita. L’estate era volata via e la fase fanciullesca era finita. Ero diventata una “adulta” e da quel momento iniziava la mia nuova vita, fatta di compiti, responsabilità e l’impegno di colorare dentro i bordi.

Sì, perché tutto sembrava racchiuso in quel concetto di “colorare dentro i bordi“: rispettare le nuove regole, seguire gli orari e conformarsi alle aspettative.

Devo ammettere che non sono mai stata particolarmente brava a restare dentro i bordi. Il mio primo disegno libero era un insieme di segni che si estendevano in varie direzioni, senza confini ben definiti. Ma, sinceramente, a me sembrava bellissimo. Il mio ego venne confermato dalla mia cara maestra, che con la sua visione moderna andò oltre i confini convenzionali e mi diede un voto altissimo, concedendomi l’epiteto di “vera artista“.

Non ricordo cosa sia successo a quel disegno. Sono passati troppi anni eppure l’immagine, o almeno quello che la mia mente ha conservato, è ancora vivida dentro di me. Nonostante il mio orgoglio, mia madre non prestò molta attenzione alla mia predisposizione artistica e col passare del tempo tutto venne dimenticato: il disegno, la mia passione e l’opportunità di proseguire su quella strada.
In quegli anni, soprattutto al nord, ciò che contava non era ciò che amavi fare, ma ciò che avrebbe potuto garantirti un lavoro sicuro. Così finii per studiare ragioneria, lasciando perdere l’arte. Posso lasciarvi immaginare che i miei studi non durarono a lungo. Lasciai la scuola e iniziò il mio secondo periodo importante: sarei diventata ancora più adulta, una lavoratrice.

Ma i bordi che non ero riuscita a rispettare in passato tornarono a farsi sentire.

Ancora una volta, riuscii a superarli.

Mi iscrissi al liceo artistico serale, cinque lunghi anni faticosi ma importanti. Quei bordi che non riuscivo a delineare mi hanno caratterizzata per tutta la vita. Anche oggi, mentre leggete la mia storia, non riesco a chiuderli, a visualizzarli.
Il non colorare dentro i bordi mi ha reso la persona che sono oggi.

Rimanere all’interno dei limiti può farci sentire protetti, sicuri e tranquilli. Tuttavia, uscire dai confini ci fa sentire vivi, anche se siamo esposti alle emozioni e alle incertezze. Il voler chiudere quel contorno limita il nostro spazio di manovra. Ancora adesso, quando coloro, mi piace uscire dai bordi, andare oltre, vedere oltre e lasciare spazio a qualcos’altro.

La vita è fatta di confini e di opportunità che si presentano al di là di essi. Non lasciamo che il timore di non colorare dentro i bordi ci impedisca di esplorare, sperimentare e abbracciare nuove sfide.

Forse non siamo tutti nati per colorare dentro i bordi, ma possiamo essere artisti che creano nuovi percorsi e aprono porte a mondi inesplorati.

La Noia

Finalmente l’estate è arrivata anche quest’anno, portando con sé i suoi colori, gusti e suoni.

È un momento dell’anno in cui è difficile non provare un senso di leggerezza, gli abiti diventano sempre più leggeri e la musica risuona ovunque con i suoi tormentoni estivi, capaci di far muovere qualche passo di danza anche al più impacciato. All’improvviso, si avverte un forte desiderio di uscire, magari anche solo per condividere le lunghe e interminabili code stradali, arrampicarsi su un sentiero o semplicemente respirare e godere della frescura del sottobosco. Si organizzano cene in terrazzo e piacevoli uscite serali con amici e famiglia.

Ma cosa rende questa stagione così magica da scatenare un turbine di sentimenti?

Sarà il calore del sole, che abbraccia il nostro corpo e illumina le giornate?
Saranno le serate estive ricche di stelle, che sembrano pronte a cogliere ogni desiderio che esprimiamo?

L’avvicinarsi delle tanto attese vacanze estive ci permette finalmente di rilassarci, di allontanare tutti gli impegni e di dedicarci al piacere del fare nulla, di sperimentare la noia.
La noia, spesso considerata una parola sottovalutata, è in realtà un sentimento importante che merita attenzione.

Mi chiedo quando sia stata l’ultima volta che ho provato quel senso di noia. Forse risale ai tempi della mia infanzia, quando passavo lunghe giornate ad aspettare, a mangiare e a giocare. La noia poteva trasformare una semplice goccia d’acqua in una sfida di gavettoni, o stimolare la costruzione improvvisata di casette sugli alberi. Era la noia che dava il tempo di organizzare guerre con i semi del cocomero e di giocare lunghe e imbarazzanti partite di carte con i parenti. A casa mia c’erano sempre molti adulti, o almeno così mi sembrava da bambino, e ognuno aveva una miriade di storie da raccontare.

Ancora oggi mi chiedo se fossero vere o frutto della loro fervida immaginazione.

A volte basta solo aspettare, senza avere un piano preciso, lasciandoci trascinare dall‘attesa stessa.

Aspettare che qualcuno tiri fuori un’idea, nel frattempo lanciamo la palla in aria, improvvisiamo un torneo di battute o rosicchiamo il bastoncino del ghiacciolo, come se il momento dovesse durare per sempre.

Il sole inizia a tingere di rosso il cielo, l’aria cambia forma, gli amici montano in sella delle loro biciclette e ritornano a casa, ma la cena ancora non è pronta, e così continuiamo ad aspettare, un po’ ancora e ancora un po’.

I vestiti si accumulano in un piccolo capolavoro sul pavimento, accanto alla vasca, perché non è ancora il momento di riporli, seduti a tavola assaporiamo il cibo con distrazione, scambiandoci sorrisi tra di noi.

Domani sarà un altro giorno di noia, ma non ci importa. Siamo immersi in questa dolce attesa, nella consapevolezza che i momenti senza scopo sono quelli che ci regalano i ricordi più preziosi.
Vorrei tornare bambina per un giorno concedendomi il lusso di abbracciare la noia, sperimentare il piacere di aspettare, di vivere l’attimo presente, rallentare il ritmo frenetico della vita e di godere delle piccole cose, fermarsi e lasciare che il tempo si dilati.

E quando ci ritroveremo a tavola, con i vestiti ancora disordinati sul pavimento e il sorriso sulle labbra, sapremo che abbiamo vissuto.
Buona estate

Terra

La Terra

Il rispetto per la natura e il nostro pianeta: cosa ne sarà di questo mondo?
Quando penso alla Terra, rivedo mio padre chinarsi su di essa e, con grande fatica e amore, lavorarla e curarla.

Lei, con molta riconoscenza, gli regalava i suoi frutti.

Lo ricordo quando, dopo aver raccolto gli ultimi ortaggi nati dal freddo inverno, preparava l’orto per quelli estivi. Con la vanga girava la terra e creava lunghi solchi dove seminare o interrare nuove piantine. Tra i solchi, creava camminatoi e poi, con pazienza e precisione geometrica, infilava nella terra dei lunghi bacchetti come sostegno per le future piante.

Lui tornava a casa nel tardo pomeriggio e si recava subito nel suo orto.

Lo vedevo sudare sotto il sole, con le spalle arrossate e il segno della canottiera, accucciato ad estirpare le erbe infestanti o a controllare i nuovi germogli.

Io, ancora piccola, non capivo; ai miei occhi, era solo terra, niente di più.

Ma per mio padre, era uno svago, una passione, il suo mondo dove dimenticare la dura fatica del lavoro.
Mi insegnò come raccogliere l’insalata, mi fece vedere come le zucchine si “nascondevano” sotto le loro grandi foglie per ripararsi dal sole cocente. Ogni tanto tirava un ciuffo d’erba e da sotto la terra spuntava una carota, suscitando grande stupore in me. Ma ciò che amavo di più era quando le sue mani, ancora sporche di terra, mi offrivano un pomodoro rosso che mordevo con avidità finché la mia bocca si saziava del suo dolce e acerbo succo.

Ogni cosa aveva senso, i frutti raccolti erano attesi giorno dopo giorno.

Mio padre mi insegnò che nella natura bisogna avere pazienza, rispettare i tempi, non chiedere troppo, non più di quello che essa può dare. Altrimenti, prima o poi, la sua energia si esaurirà.

Purtroppo, abbiamo maltrattato, ferito e offeso la Terra.

Pensavamo di essere invincibili e di poter disporre a nostro piacimento del territorio che abitiamo, di poterlo adattare e trasformare secondo le nostre esigenze.

Ma noi siamo solo ospiti e avremmo dovuto rispettarla come tale, perché, come abbiamo recentemente constatato, tutto ciò che le abbiamo sottratto con arroganza, lei se lo riprenderà.

Mamma

I nostri occhi, dietro alle tapparelle, a spiare il suo ritorno, riesco ancora a sentire l’alito condensato che si sprigionava dal calore che usciva dalle nostre anime, troppo eccitate.

E poi, finalmente, la scorgevamo in lontananza, sulla sua bici rosa, carica di borse al ritorno dal mercato o di fatica al ritorno dal lavoro.

Noi fratelli, tesi a svelare segreti, nostra madre troppo occupata ad organizzare qualche sorpresa.
L’avevamo scoperta! Eravamo sicuri che, tra sacchetti e borse della spesa, si celassero
i regali di Natale, ma poi, che delusione, nessun regalo.

Chissà dove li nascose

Attimi che riaffiorano nella mia mente, in momenti strani, incoerenti. Chissà com’è possibile che alcuni rimangano ben fissi nella memoria, ne puoi addirittura sentire l’odore ed altri…puff, svaniscono per lasciar spazio a ricordi più recenti.

E’ la che la vedo, seduta sui gradini della scala esterna, noi attorno a lei ad ascoltare la sua voce che racconta favole e filastrocche (le stesse che poi ho narrato a mia figlia) e ad aspettare che il sole andasse ad “incastrarsi” dietro i colli
E’ lì che vorrei tornare, a sentire il fresco del marmo sotto di noi nelle lunghe ed afose serate estive, ad appoggiare la mia testa su di lei, a sentirmi protetta, a sentirmi dire che tutto va bene, a sentire le nostre risate confondersi col canto delle cicale.
Ad aspettare che il mondo, intorno a noi, si addormenti.

Vorrei ancora ritrovare quel suo sguardo che, di colpo, mi toglieva il tutto dalla testa.
Quello stesso sguardo che ancora mi tiene insieme.

La casa dove abitavamo, della quale mia madre ne era la regina, celava al suo interno diversi “nascondigli
La soffitta era abitata da un terribile mostro, un armadio, dall’anta cigolante, era il rifugio di un fantasma dispettoso.

La cucina era invece il porto sicuro.
Il “suono” delle stoviglie, la radio sintonizzata su vecchie canzonette. La sigla del TG che richiamava tutti a tavola per la cena, quindi pigiama e poi a letto.

Dove siamo ora? Dove possiamo ritrovarci se ora manca la “regina”?
Nei primi tempi il mio pensiero andava a lei quotidianamente, poi sempre più di rado.
Ora ogni intanto il mio sguardo scorge una sua foto e mi sento in colpa per non averla pensata più spesso, la vita però è così, ci porta sempre avanti ed a volte ci si può dimenticare ciò che abbiamo lasciato alle spalle, vero mamma ?

Tra alcuni giorni sarà la festa della mamma, ed il pensiero va a tutte le mamme, a tutte quelle persone che hanno cresciuto o che stanno crescendo un figlio
Mamma non ha sesso, colore o forma, mamma è la persona che cresce un bambino, lo aiuta, lo protegge
Gli dice “ti amo

Sono nata

14 APRILE ORE 14:30
Ecco, sono nata, un vagito mi annuncia al mondo

Li sentivo bisbigliare, i miei fratelli, e poi, come d’incanto, svanivano nel nulla.
Due fratelli ed una sorella, io la quarta.

L’intrusa

Sei anni tra me ed il fratello più grande, almeno due secoli quando si è piccoli
Gli altri due, gemelli.

In questo caso ciò che mi divideva da loro, non era tanto la differenza di età quanto la loro intesa
Io, la più piccola, sono “arrivata” più o meno per caso.
A dire il vero ancora non riesco a capire il significato “nata per caso”, diciamo che, dopo tre figli, averne un quarto era un impegno non indifferente ed i miei genitori si sono distratti un attimo.

Ecco sì, potrei dire che casualità e distrazione, in questo caso, possano essere sinonimi

Tornando a ciò che precedentemente ho scritto, pensavo ci fosse, nei bisbigli dei miei fratelli, una sorta di magia perché subito dopo erano introvabili
Letteralmente sparivano

Un po’ alla volta capii che la magia consisteva nello svignarsela lestamente, per non avermi con loro
Ero considerata una palla al piede!

Non mi destreggiavo ancora bene con la bici, mentre loro sfrecciavano sui marciapiedi e per le viette del paese
Correvano sui campi arati, mentre io ero ancora impacciata nel superare i solchi dell’aratro.
Essendo loro più grandi, erano anche responsabili della mia incolumità,
Mio padre era molto dolce e complice, mia madre era severa, solo oggi, essendo mamma, posso dire “giustamente severa”, ma all’epoca i miei fratelli trovavano ingiusti i suoi rimproveri per tutte quelle volte che tornavo con le ginocchia “sbucciate” o i vestiti strappati.

Quindi perché avermi tra i piedi?

E poi ero la “cucciola” di casa, con tutti i vantaggi (per me) che ciò comportava e, di conseguenza, anche il risentimento dei miei tre “fratelloni”.
Fratelloni, li chiamavo così, e li chiamo ancora adesso così.
Avrei voluto seguirli sempre, erano i miei punti di riferimento, i miei esempi.
E poi arriva l’adolescenza, le regole iniziano ad essere un po’ troppo strette.

Le raccomandazioni dei miei fratelli maschi esagerate, quelle di mia sorella oppressive.
Ormai sono “grande”, pensavo, riesco benissimo a cavarmela da sola
Tranne tutte le volte che dovevo ricorrere a loro per venir fuori da qualche situazione intricata, con un po’ di vergogna da parte mia ma anche con tanta riconoscenza

Gli anni ora ne sono passati tanti, le distanze si sono ridotte, siamo ormai coetanei ma loro rimangono sempre i miei fratelloni ed io la loro sorellina

Da bambina sognavo le punte

Sento il vocio del pubblico, a volte una risata od una esclamazione, più forte di quello che il luogo si attende, seguita da diversi “ssst” che la zittiscono, ed occhiate che la inceneriscono.

Le luci della sala si attenuano, di lì a poco un oboe intona un La, con discrezione, quasi timidamente, a questo si affianca la nota prolungata del primo violino e così di seguito gli altri strumenti si associano fino a diventare una sol nota che piano scema e tace per lasciare posto all’applauso che accompagna l’entrata del direttore d’orchestra.
Qualche colpo di tosse ne approfitta dell’ultimo istante di concentrazione degli orchestrali e poi, dolcemente, l’ oboe, lo stesso che poco prima ha intonato il La, da inizio al primo movimento.

Il “Lago dei Cigni” inizia, io sono agitata, è la mia prima volta con tutto questo pubblico e, quel che è peggio, devo aspettare circa mezz’ora prima d’entrare in scena.
Tutti mi hanno rassicurato, mi hanno detto “la parte l’hai studiata bene e sei brava”, sì è vero ma la mia agitazione non diminuisce per questo.
E’ giunto il mio momento, sono concentrata, entro in scena, danzo come mai prima, la musica mi avvolge, il principe mi solleva, volo leggiadra come un cigno e…

…IL SUONO DI UNA SVEGLIA?

Ma… Chi mai porta con se una sveglia al teatro dell’opera?

E non la spegne!

La sveglia continua a suonare senza rispetto fino a che…

NOOOO

Apro un occhio, poi l’altro, il mio cuore batte all’impazzata, guardo intorno a me, frastornata, incredula, arrabbiata.

DELUSA!

Il sogno della mia vita, ricorrente, s’infrange contro una sveglia rauca ed irriverente.
Volevo essere una ballerina, con tutta me stessa.

Da bambina sognavo le punte

Volevo calzare le scarpette da danza, tenermi alla sbarra, eseguire passi dalla difficile pronuncia francese, alzarmi sulle punte e piroettare su me stessa.
Volevo ed invece la danza è rimasta solo un desiderio non realizzato.
Forse non sarei mai diventata una “etoile” e forse nemmeno una semplice ballerina.
A volte ripenso a tutti i miei sogni, ai miei desideri.
Ripenso ai “treni” transitati davanti a me, alle occasioni prese al volo a quelle non intuite o troppo faticose da cogliere.

Il pensiero mi fa sollevare impercettibilmente il labbro in una sorta di smorfia di disappunto.
Ma poi, quando capisco che un desiderio non si potrà avverare, un altro ne prende il posto, un altro obiettivo da raggiungere o cercare di raggiungere.

Un po’ come “L’Utopia” di Eduardo Galeano, che dice:
Lei è all’orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta di dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l’utopia? Serve proprio a questo: a camminare.

Ecco, penso che i nostri sogni servano a questo a non smettere mai di fare progetti di avere obiettivi.
A volte sembreranno più grandi di noi, molti di questi forse non riusciremo a raggiungerli ma sicuramente molti altri sì.
L’importante è avere un sogno là, proprio dov’è l’orizzonte, l’importante è provare a raggiungerlo, l’importante è non rimanere fermi.

Febbraio

Un foglio bianco, davanti a me, mi osserva e mi sfida,
lo guardo e l’ignoro.
Una matita al suo fianco, con la punta ancora da temperare.
Oggi non è giornata.
Ho bisogno di un caffè!

Esco, è freddo, l’alito si condensa e leggero sale.
Il mio sguardo lo segue fino a che non si confonde con le esili nubi che striano l’azzurro del cielo
L’argine è deserto.
Il mio passo veloce, evitando le pozzanghere, testimoni del temporale della sera precedente, mi porta verso il mio bar abituale.

Entro, il profumo, che mi ha accompagnato nel mio camminare, ora mi avvolge come una calda coperta.
Rassicurante.
Non sono golosa, preferisco di molto il salato, ma la vista delle frittelle esposte in vetrina e la loro fragranza, mi fanno voglia e mi riportano indietro nel tempo.

Le mani bianche di farina, l’uvetta, la crema e lo sfrigolare di gialle, morbide palline nell’olio.
Occhi incantati osservano questa golosa magia.
Gli avvertimenti di mia madre, sempre “dolcemente burbera”, a stare distante dai fornelli e di non mangiare le frittelle, fino a che non fossero tutte pronte
Poi, di sottecchi, osservare divertita le nostre bocche sporche di zucchero.

Gennaio ha portato via le feste natalizie, gli addobbi, le calze, i panettoni ed i pandori.
Febbraio ne prende il posto portando con sè il carnevale
Le finestre si aprono a far entrare i primi tiepidi raggi di sole di un inverno ancora distante dal salutarci .
E’ iniziato il periodo più “ridanciano” dell’anno, periodo in cui è possibile fare gli scherzi ed è vietato offendersi per questi.

E’ il periodo dei costumi e dei travestimenti
Io ed i miei fratelli non abbiamo mai amato troppo portare i costumi da fatina, da zorro o superman.
Il nostro divertimento assoluto era quello di andare alla ricerca dei vestiti dei nostri genitori indossarli e poi atteggiarsi ad adulti.

Approfittando di qualche rara assenza di entrambi i genitori, in questo periodo facevamo “incursione” nella loro camera.
Cassetti aperti mostravano i morbidi indumenti di nostra madre, le ante dell’armadio spalancate, rivelavano i seri vestiti di nostro padre.
Collane bracciali ed anelli erano le prime cose che mia sorella ed io indossavamo, e poi colorati vestiti, lunghe gonne ed ampie camicette, ancora troppo ampie per i nostri acerbi corpi. E poi smalto e rossetto ed infine le meravigliose scarpe dai tacchi sempre troppo alti per le nostre esili caviglie ma così irresistibili da non essere calzate.
I nostri fratelli invece con cravatte dai nodi impossibili, cappelli sempre troppo larghi, pantaloni sempre troppo lunghi e scarpe sempre troppo grandi per essere disinvolti.
Ma a noi non interessava tutto questo, eravamo liberi da ogni giudizio, era puro divertimento.

Ai nostri occhi, eravamo irresistibilmente affascinanti.

E poi giù a ridere a crepapelle con le lacrime agli occhi e quindi di corsa a rimettere tutto in ordine, prima del rientro di mamma e papà.

Il caffè era buono, la frittella deliziosa, il tuffo nel passato rigenerante.
Una sosta in negozio per uova ed uvetta e poi a casa.

Guardo le mie mani, sporche di farina, le finestre sono già aperte, i cassetti sono i miei e le scarpe ora mi stanno bene.

Storia di un incontro

Inizia un nuovo anno, sarebbe scontato scrivere le solite frasi di rito, quest’anno ti accompagno al 2023, con una storiella, un piccolissimo, breve racconto dell’incontro tra due amiche che non si frequentavano da qualche tempo

La vedo da distante, confusa tra le altre
No, non confusa, celata tra le altre perché…
Perché lei non si può confondere, non è come le altre
Lei è speciale
La riconoscerei tra mille
La riconosceresti anche tu
Anche se non l’hai mai incontrata

E’ da un po’ che non ci si frequenta

Il mio lavoro, sempre più complesso, sempre più serrato, mi porta via molto tempo, mi costringe a mettere in secondo piano ciò che più amo per tuffarmi nei social, nella pubblicità, nelle strategie di vendita

Ciao, faccio io
Ciao, risponde lei
Che bella che sei
Abbassa un po’ lo sguardo, come per guardare la sua figura, arrossisce un po’ e risponde “Grazie, sei molto gentile”
Ci conosciamo da sempre, è sempre stata la mia compagna di “viaggio
Ci siamo incontrate che ero piccola, molto piccola, forse il mio camminare era ancora incerto
Un giorno entrò in cucina, la guardai stupita e affascinata al contempo
Venne verso di me, alzai gli occhi verso mia madre perché mi spiegasse, mi rivelasse chi fosse quella nuova presenza
Non riuscivo a capire cosa ci facesse in casa, vicina a me
La guardai e la strinsi con le mie paffute manine già rapita dall’esile figura, dal profumo di buono che emanava

Mi affascinò il suo vestito, la sua morbidezza nei tratti, il suo essere docile in tutte le mie fantasie, in tutti i miei sogni

Sembra strano vero?

Ancora non mi reggevo saldamente sulle mie gambe eppure il vivido ricordo di questo incontro non mi abbandona mai
Ma ve lo assicuro, è assolutamente vero!
Non è stato sempre semplice il nostro rapporto
Ci siamo allontanate e poi di nuovo unite
A volte abbiamo discusso, litigato, come è solito fare tra buone amiche
Non ci sarebbe altrimenti confronto, crescita
Non poteva darmela vinta sempre, molto spesso sbagliavo, anche se non mi piaceva ammetterlo
Non potevo sempre fermarmi ad ogni ostacolo che lei mi opponeva quasi lo facesse apposta,
Forse per farmi migliorare

Siamo cresciute insieme

Insieme abbiamo segnato le “linee” della nostra vita, della mia vita
Linee non sempre rette
A volte sinuose, altre arzigogolate
Linee che mi davano gioia ma anche delusione
Io a provare allo sfinimento
Lei a “consumarsi”, perché potessi lasciare una traccia che alla fine mi ha portato a quella che sono adesso

Qualche giorno fa sono andata in una “antica bottega” dove, ero certa, l’avrei incontrata
Prima di entrare il profumo già annunciava la sua presenza
Quel momento d’attesa volevo che durasse all’infinito
Una attesa che sapevo si sarebbe risolta con un incontro
Molta gente tra le corsie, aromi buoni
Di colori ad olio, di acquerelli
Il profumo delle gomme per cancellare, quelle bianche e morbide, non quelle rosse e blu che mi laceravano sempre i fogli dove disegnavo
Odore di trementina e tele ancora vergini
Il Das, la creta e poi
Poi la vedo confusa tra le altre
No, non confusa, celata tra le altre
Lei non si può confondere
La guardo e sorrido
Sempre esile e profumata, in un’elegante veste rossa
Ciao faccio io
Ciao mi risponde lei, è da un po’ che non ci vediamo
Abbasso gli occhi, mi sento un po’ colpevole
Ma poi ci osserviamo ed il tempo non è mai passato
Non ci siamo in realtà mai lasciate
Siamo sempre noi, con le nostre vite parallele che si intersecano ogni volta che ci cerchiamo, che ci incontriamo
La prendo, la stringo tra le dita
Il suo tratto è di un nero profondo, morbido ma sicuro e netto
Non semplice se non si è in sintonia

Vado alla cassa, una voce mi fa: “La matita? Gliela metto in un sacchetto?”
Quasi con timore stringo ancor più forte a me la mia rossa amica e rispondo “no grazie, è da un po’ che non ci si vede e ci dobbiamo raccontare un sacco di cose”

La matita per me è stata da subito l’estensione naturale dei miei pensieri, dei miei sogni
E’ sempre stata l’alleata fedele, quella che sai non rivelerà mai a nessuno i segreti a lei affidati
Ora lavoro molto col computer, uso fantastici programmi come Illustrator, Photoshop e altri ancora.
Mi permettono di fare cose che, solo pochi anni fa, pensavo fossero fantascienza.
Ma poi, se veramente mi voglio divertire, se veramente voglio tradurre concretamente le mie idee, i miei progetti, devo avere vicino a me i miei colori, i miei pennelli e la mia insostituibile matita.

Quando l’attesa insegna !

Ciao genitori,
non fatevi ingannare dal titolo.
Oggi il Natale diventa per noi un trampolino di lancio…ma poi voliamo ben più in alto!

Dietro a tutto questo periodo c’è una parola potentissima.
C’è qualcosa che avvertiamo e respiriamo ma non possiamo afferrare.
(Per fortuna!)

Che sia per voi una festa familiare, religiosa, culturale o niente di che, il Natale non raccoglie solo
tradizioni, credenze e antiche leggende ma diventa tramite per imparare l’arte dell’ATTESA.

Attendere, dal latino ad-tendere cioè “rivolgere l’animo a”.
Un invito ad ascoltare attentamente, a rivolgere il nostro essere verso qualcosa o qualcuno di
importante, a dedicarsi ad un obiettivo, ad uno stimolo che merita la nostra attenzione e il nostro
tempo!

Che meraviglia! Che intensità! E che difficile!
Per noi grandi ma soprattutto per i nostri bambini.

In questa epoca di app e tecnologia per ogni cosa, il “tutto e subito” impera.
Noi adulti ci stiamo abituando ad avere tutto a portata di mano.
Conoscenza.
Esperienza.
Capacità.

Poi, però, non siamo capaci di prenderci quel tempo giusto per “ragionare”, ponderare, dare
valore alle cose, agli eventi che ci capitano, alle relazioni che intrecciamo.

E così facendo, insegniamo ai nostri bambini la “fretta” nel far le cose, la tentazione del risultato
fulmineo e li priviamo di quella sana dose di pazienza e di piccole frustrazioni che sono necessarie
alla conquista della loro autonomia, alla capacità di collegare tra loro gli avvenimenti e a
cementare nella memoria ciò che hanno appreso in tutto questo processo.

Quando condividiamo con i bambini il tempo dell’attesa, diamo loro quel lasso necessario per
“unire i puntini”, per creare nella loro mente delle potenti mappe in grado di collegare persone,
fatti, spazio e tempo. (Ogni età, ovviamente, in base alla propria finestra di sviluppo!)

Soprattutto diamo ai nostri figli quel necessario tempo del silenzio, dove possono connettersi con
le loro emozioni, accoglierle e, solo dopo, gestirle.

L’attesa diventa quel filo rosso che ci permette di “disegnare” una visone d’insieme.
L’attesa ci aiuta a costruire progetti, senza temere il lungo termine.
L’attesa avvicina i bambini al concetto di “fatica”, ma anche di perseveranza e di traguardo.
A volte può essere deludente, a volte può riservare una bella sorpresa.

Di certo ci “forma” e ci aiuta a darci quel giusto “ossigeno” per gustare i passaggi importanti che
viviamo nelle nostre vite. Come adulti e come genitori.

E voi, avete voglia di trasmettere la bellezza del saper attendere ai vostri bambini?
Buon cammino, genitori!
Ci vediamo l’anno prossimo!

 

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