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Welcome to Zass

La copertina, morbida e leggera, diventerà un’inseparabile coccola nella crescita del tuo bambino. Colorata e personale, lo accompagnerà dalle passeggiate al parco alla nanna nella cameretta.

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Autore: Mara

Jingle Bell

Il silenzio avvolgeva il paesaggio mentre la neve scendeva leggera, danzando tra gli alberi e ricoprendo il suolo con uno strato candido.
Il calore del caminetto abbracciava la stanza, e nella sua luce, trovavo rifugio accanto a Tobia, il cui sguardo si alzava solo di tanto in tanto al suono delicato delle pagine che giravo con attenzione.
Un vecchio disco di musica natalizia, scovato in un negozio vintage, suonava in sottofondo, indifferente al suono della sveglia del forno che annunciava i biscotti appena sfornati.

Biscotti, caminetto, neve: un tableau magico, un istante fuori dal tempo.

Mi sembrava di essere protagonista di un film, di quelli che ci fanno sognare dall’inizio di Dicembre alla fine dell’anno.

Ma questo idillio nascondeva una verità più cruda.

Mentre ci immergiamo nelle festività, circondati da regali e preparativi culinari, è facile dimenticare la realtà più ampia che ci circonda. Guardando le immagini del mondo, vediamo guerra, crimini, femminicidi, tragedie che si susseguono, ma spesso ci distacchiamo emotivamente. Ci sentiamo anestetizzati di fronte a queste notizie, come se appartenessero a un mondo parallelo.

Il Natale si avvicina, ma la frenesia delle festività sembra distante dalla dura realtà.

Come ci vestiremo per la cena di Natale?

Quali regali faremo?

Ecco dove il surrealismo si scontra con la vita reale. È assurdo, e non possiamo permetterci di abituarci a questa dissonanza.
Siamo parte di un mondo condiviso, dove la sofferenza altrui dovrebbe scuoterci e spingerci a reagire. Le persone coinvolte nelle tragedie quotidiane sono le nostre sorelle, i nostri figli; condividono le stesse esigenze fondamentali di vivere, sognare e amare. Ma se queste opportunità sono negate a qualcuno, la bellezza del nostro mondo perde il suo significato.

Non voglio solo pensare di cambiare il mondo con un pensiero. Sappiamo che la realtà è più complicata. Ma possiamo fare qualcosa. Non possiamo permetterci di girare le spalle alle ingiustizie, di ignorare il dolore. Vorrei che ci rifiutassimo di abituarci a questo scorrere indifferente davanti alle tragedie, di non relegare la sofferenza al mondo virtuale dei social e dei notiziari.

Guardo la scatola delle decorazioni, pesante ogni anno di più. Mentre inizio a decorare l’albero, una pallina mi scivola di mano, cade al suolo e si frantuma, emettendo un suono assordante.

Un grido, forse, un richiamo a non ignorare la fragilità della vita, a non perdere di vista la cruda realtà del nostro mondo.

Il Mondo

Di cosa siamo fatti se non della più piccola parte del mondo?

Qual è il nostro ruolo in questo vasto racconto, se non un piccolo e delicato anello, pronto a staccarsi e spezzarsi con un soffio di vento?

Se solo riuscissimo a comprendere che la parte che stiamo vivendo ora è soltanto il primo capitolo della nostra storia, forse acquisiremmo una maggiore consapevolezza e sfrutteremmo appieno il nostro potenziale. Tuttavia, se ci convinciamo di essere i protagonisti indiscussi del romanzo della vita, dall’inizio alla fine, allora rischiamo di vivere il tempo come se ci fossero innumerevoli altri capitoli ancora da scrivere.

Novembre è giunto e si attarda tra i rami, lasciando ancora qualche foglia aggrappata, in attesa dell’ultima folata di vento che la farà danzare nell’aria prima di adagiarsi delicatamente al suolo, dove il freddo pian piano si fa strada. I colori che fino a questo momento ci hanno scosso, ora ci avvolgono, ci leniscono e ci rassicurano, mentre le prime nebbie si insinuano sotto il nostro maglione, annunciando che presto la stagione invernale si farà sentire.

Ed è proprio in questo momento che ci imbattiamo in un giorno speciale, dedicato alle persone che non sono più con noi.

È il giorno dei ricordi, delle storie scritte tra le pagine della nostra esistenza. E così, ci ritroviamo a sfogliare quelle pagine, rileggendo tra le righe quei preziosi attimi di vita, la nostra storia e quella degli altri. Sono ricordi che ci tengono compagnia e ci aiutano a capire meglio chi siamo e da dove veniamo.
Le persone che ci circondano, i personaggi che entrano e escono dalla nostra storia personale. Alcuni sono presenti fin dall’inizio, altri arrivano nel mezzo del nostro viaggio e alcuni possono rimanere solo per un breve capitolo. Ognuno di loro contribuisce a plasmare la narrazione, a influenzare il nostro percorso.
Ogni giorno scriviamo un nuovo capitolo con le nostre scelte, le esperienze e le sfide che affrontiamo.

Chi leggerà il nostro racconto tra qualche anno è un enigma.

Potrebbero essere amici, familiari o perfetti sconosciuti, ma ciò che conta è la bellezza intrinseca del tuo racconto.

Che diventi un bestseller o rimanga un racconto di vita intimamente personale, il valore della tua storia risiede nelle esperienze che hai raccolto e nelle emozioni che hai condiviso.
Abbraccia la tua storia, indipendentemente da come si svilupperà.

La tua vita è un racconto unico e speciale, una storia che hai il privilegio di vivere e scrivere ogni giorno.

È il tuo racconto, ed è il migliore che tu possa avere vissuto.”

Ciao Paolo

L’arrivo dolce di Ottobre

Sento quel brivido leggero; è arrivato. Lo si avverte la sera, quando il sole, che fino a questo momento ci ha avvolto con il suo calore, stanco si ritira. Lo si percepisce tra le dita dei piedi quando l’aria si insinua, trovando posto nei piedi nudi. E allora, calzini, golf e plaid escono dalle ante dell’armadio. È ancora troppo presto per cambiare il guardaroba.
Ottobre non sembra spaventare; sembra un ponte di passaggio tra la coda dell’estate e l’arrivo dell’inverno. Ci accompagna dolcemente e si preannuncia con i suoi frutti e i suoi colori. Le finestre si chiudono e le prime coperte vengono posate sopra il letto. Arrivano le zuppe calde e il crepitio del primo fuoco nella stufa.

La prima nebbia si fa notare, ma non è ancora quella fitta e gelida; sale dalla terra una lieve nebbiolina che sfiora appena l’orizzonte.

È difficile ritrovare il ritmo; l’inverno sembra sempre troppo lungo, la scuola sembra essere iniziata ormai da troppo tempo e la mente pensa già alle vacanze di Natale. Il buio arriva prima facendo anticipare il nostro rientro a casa. Amici e cugini svuotano la casa, si rientra, le serate in casa si fanno più lunghe e le trasmissioni iniziano la programmazione invernale.

Svegliarsi al mattino, fare colazione con brividi di freddo, è ancora buio.

Mamma prepara la colazione, il pane è abbrustolito, mentre papà è già uscito.

Pian piano, ancora con gli occhi semi-chiusi, prendiamo la bicicletta. I manubri ci rimandano l’umidità accumulata durante la notte, e la sella è bagnata.

Ma poco importa, presto si asciugherà, il sole sembra affacciarsi anche oggi.
Ogni anno sembra assomigliare all’anno precedente, con un solo anno in più. Ma nulla è cambiato del precedente. Non intendo dilungarmi per parlare delle stagioni che cambiano e sul cambiamento climatico. Ho un mio pensiero ma non le competenze per approfondire l’argomento.

Mi limito a condividere un ricordo, un pensiero rimasto nella mia memoria tra tanti altri.

Essere Grandi

Quando inizia l’età adulta?

E quando ci si rende conto di essere diventati grandi e maturi?

Una singola parola potrebbe riassumere questo concetto, un periodo di vita che segna l’inizio di uno stadio e la fine di un altro. È così che nei miei ricordi si palesò l’ingresso nell’età adulta per mio fratello.

La scuola sarebbe iniziata il giorno seguente, e tutto ciò che prima era considerato “giochi da bambini” avrebbe perso significato, trasformandosi in qualcosa di più grande.
Ma cosa rappresentasse esattamente questa transizione per noi fratelli, rimaneva un mistero. Forse significava che lui non avrebbe più giocato con noi, che l’innocenza del passato avrebbe ceduto il posto a nuove responsabilità.

La serietà della situazione fu evidente anche per mio fratello, che affrontò con consapevolezza la gravità di quel cambiamento. Rifiutò di salire per cena, deciso a giocare fino allo sfinimento.

La sua cartella era pronta, il suo nome scritto sul grembiule: non c’era via d’uscita, stava per diventare adulto.
Tra noi fratelli regnava una confusione curiosa, alimentata da domande su come lui si sarebbe svegliato il giorno seguente. Non ho un ricordo preciso di quel momento esatto, ma ricordo vivamente che l’essere cresciuto non sembrò influenzare significativamente le nostre lunghe giornate di gioco.

Insomma, nulla sembrò cambiare davvero, se non la sua temporanea assenza durante alcune ore della giornata.

La curiosità aumentò quando mio fratello tirò fuori libri e quaderni dalla sua cartella, sistemandoli sul tavolo con orgoglio. Matite, colori e accessori sembravano trasmettere un senso di bellezza e possibilità. Questo gesto significava che diventare adulto non fosse poi così male.

Tuttavia, la sensazione di solitudine e abbandono crebbe quando, dopo qualche anno, anche i miei altri fratelli raggiunsero quell’età. Mi ritrovai l’unica bambina rimasta, una sorta di outsider. Desideravo anch’io diventare grande, desideravo disegnare, leggere e scrivere.

Non sembrava poi così male, specialmente nelle serate invernali quando il buio arrivava presto e ci si trascorreva più tempo al caldo in casa. La cucina diventava un rifugio accogliente, con i libri di scuola colorati e attraenti sparsi sul tavolo. Mia madre si chinava su quei libri, aiutando i miei fratelli con qualche problema, correggendo qualche errore.

Infine, arrivò anche per me il momento di diventare grande.

Ricordo ancora il profumo dei quaderni, delle matite e delle gomme da annusare. La mia cartella era pronta, il grembiule appeso alla gruccia, troppo lungo e largo, ma doveva durare per anni.

Ero preparata, avevo imparato da vicino osservando i miei fratelli. L’emozione del primo giorno di scuola, la sensazione di una nuova classe, un banco immacolato, i capelli pettinati con cura: tutto concorreva a confermare che ero diventata grande.

Sapevo che sarei stata coinvolta nelle lunghe serate trascorse al tavolo della cucina, affrontando quaderni e tabelline, ma questa volta non era un gioco, era la realtà della crescita.

Colorare dentro i bordi

Ricordo ancora vividamente il periodo delle elementari, il primo giorno di scuola quando entrai in classe timidamente.

Era un momento di novità e per molti di voi probabilmente significava entrare in un ambiente completamente nuovo, senza conoscere nessuno. Nel mio caso, essendo cresciuta in un piccolo paesino, molti di noi si erano già visti in giro o ci conoscevamo dalla scuola materna.

Quel periodo rimane impresso nella mia memoria: io timida, indossavo il grembiule blu ben stirato, con il colletto bianco inamidato e una coda di cavallo così stretta da farmi male il cuoio capelluto. Portavo la cartella sulle spalle, pronta ad affrontare questa nuova fase della mia vita. L’estate era volata via e la fase fanciullesca era finita. Ero diventata una “adulta” e da quel momento iniziava la mia nuova vita, fatta di compiti, responsabilità e l’impegno di colorare dentro i bordi.

Sì, perché tutto sembrava racchiuso in quel concetto di “colorare dentro i bordi“: rispettare le nuove regole, seguire gli orari e conformarsi alle aspettative.

Devo ammettere che non sono mai stata particolarmente brava a restare dentro i bordi. Il mio primo disegno libero era un insieme di segni che si estendevano in varie direzioni, senza confini ben definiti. Ma, sinceramente, a me sembrava bellissimo. Il mio ego venne confermato dalla mia cara maestra, che con la sua visione moderna andò oltre i confini convenzionali e mi diede un voto altissimo, concedendomi l’epiteto di “vera artista“.

Non ricordo cosa sia successo a quel disegno. Sono passati troppi anni eppure l’immagine, o almeno quello che la mia mente ha conservato, è ancora vivida dentro di me. Nonostante il mio orgoglio, mia madre non prestò molta attenzione alla mia predisposizione artistica e col passare del tempo tutto venne dimenticato: il disegno, la mia passione e l’opportunità di proseguire su quella strada.
In quegli anni, soprattutto al nord, ciò che contava non era ciò che amavi fare, ma ciò che avrebbe potuto garantirti un lavoro sicuro. Così finii per studiare ragioneria, lasciando perdere l’arte. Posso lasciarvi immaginare che i miei studi non durarono a lungo. Lasciai la scuola e iniziò il mio secondo periodo importante: sarei diventata ancora più adulta, una lavoratrice.

Ma i bordi che non ero riuscita a rispettare in passato tornarono a farsi sentire.

Ancora una volta, riuscii a superarli.

Mi iscrissi al liceo artistico serale, cinque lunghi anni faticosi ma importanti. Quei bordi che non riuscivo a delineare mi hanno caratterizzata per tutta la vita. Anche oggi, mentre leggete la mia storia, non riesco a chiuderli, a visualizzarli.
Il non colorare dentro i bordi mi ha reso la persona che sono oggi.

Rimanere all’interno dei limiti può farci sentire protetti, sicuri e tranquilli. Tuttavia, uscire dai confini ci fa sentire vivi, anche se siamo esposti alle emozioni e alle incertezze. Il voler chiudere quel contorno limita il nostro spazio di manovra. Ancora adesso, quando coloro, mi piace uscire dai bordi, andare oltre, vedere oltre e lasciare spazio a qualcos’altro.

La vita è fatta di confini e di opportunità che si presentano al di là di essi. Non lasciamo che il timore di non colorare dentro i bordi ci impedisca di esplorare, sperimentare e abbracciare nuove sfide.

Forse non siamo tutti nati per colorare dentro i bordi, ma possiamo essere artisti che creano nuovi percorsi e aprono porte a mondi inesplorati.

La Noia

Finalmente l’estate è arrivata anche quest’anno, portando con sé i suoi colori, gusti e suoni.

È un momento dell’anno in cui è difficile non provare un senso di leggerezza, gli abiti diventano sempre più leggeri e la musica risuona ovunque con i suoi tormentoni estivi, capaci di far muovere qualche passo di danza anche al più impacciato. All’improvviso, si avverte un forte desiderio di uscire, magari anche solo per condividere le lunghe e interminabili code stradali, arrampicarsi su un sentiero o semplicemente respirare e godere della frescura del sottobosco. Si organizzano cene in terrazzo e piacevoli uscite serali con amici e famiglia.

Ma cosa rende questa stagione così magica da scatenare un turbine di sentimenti?

Sarà il calore del sole, che abbraccia il nostro corpo e illumina le giornate?
Saranno le serate estive ricche di stelle, che sembrano pronte a cogliere ogni desiderio che esprimiamo?

L’avvicinarsi delle tanto attese vacanze estive ci permette finalmente di rilassarci, di allontanare tutti gli impegni e di dedicarci al piacere del fare nulla, di sperimentare la noia.
La noia, spesso considerata una parola sottovalutata, è in realtà un sentimento importante che merita attenzione.

Mi chiedo quando sia stata l’ultima volta che ho provato quel senso di noia. Forse risale ai tempi della mia infanzia, quando passavo lunghe giornate ad aspettare, a mangiare e a giocare. La noia poteva trasformare una semplice goccia d’acqua in una sfida di gavettoni, o stimolare la costruzione improvvisata di casette sugli alberi. Era la noia che dava il tempo di organizzare guerre con i semi del cocomero e di giocare lunghe e imbarazzanti partite di carte con i parenti. A casa mia c’erano sempre molti adulti, o almeno così mi sembrava da bambino, e ognuno aveva una miriade di storie da raccontare.

Ancora oggi mi chiedo se fossero vere o frutto della loro fervida immaginazione.

A volte basta solo aspettare, senza avere un piano preciso, lasciandoci trascinare dall‘attesa stessa.

Aspettare che qualcuno tiri fuori un’idea, nel frattempo lanciamo la palla in aria, improvvisiamo un torneo di battute o rosicchiamo il bastoncino del ghiacciolo, come se il momento dovesse durare per sempre.

Il sole inizia a tingere di rosso il cielo, l’aria cambia forma, gli amici montano in sella delle loro biciclette e ritornano a casa, ma la cena ancora non è pronta, e così continuiamo ad aspettare, un po’ ancora e ancora un po’.

I vestiti si accumulano in un piccolo capolavoro sul pavimento, accanto alla vasca, perché non è ancora il momento di riporli, seduti a tavola assaporiamo il cibo con distrazione, scambiandoci sorrisi tra di noi.

Domani sarà un altro giorno di noia, ma non ci importa. Siamo immersi in questa dolce attesa, nella consapevolezza che i momenti senza scopo sono quelli che ci regalano i ricordi più preziosi.
Vorrei tornare bambina per un giorno concedendomi il lusso di abbracciare la noia, sperimentare il piacere di aspettare, di vivere l’attimo presente, rallentare il ritmo frenetico della vita e di godere delle piccole cose, fermarsi e lasciare che il tempo si dilati.

E quando ci ritroveremo a tavola, con i vestiti ancora disordinati sul pavimento e il sorriso sulle labbra, sapremo che abbiamo vissuto.
Buona estate

Terra

La Terra

Il rispetto per la natura e il nostro pianeta: cosa ne sarà di questo mondo?
Quando penso alla Terra, rivedo mio padre chinarsi su di essa e, con grande fatica e amore, lavorarla e curarla.

Lei, con molta riconoscenza, gli regalava i suoi frutti.

Lo ricordo quando, dopo aver raccolto gli ultimi ortaggi nati dal freddo inverno, preparava l’orto per quelli estivi. Con la vanga girava la terra e creava lunghi solchi dove seminare o interrare nuove piantine. Tra i solchi, creava camminatoi e poi, con pazienza e precisione geometrica, infilava nella terra dei lunghi bacchetti come sostegno per le future piante.

Lui tornava a casa nel tardo pomeriggio e si recava subito nel suo orto.

Lo vedevo sudare sotto il sole, con le spalle arrossate e il segno della canottiera, accucciato ad estirpare le erbe infestanti o a controllare i nuovi germogli.

Io, ancora piccola, non capivo; ai miei occhi, era solo terra, niente di più.

Ma per mio padre, era uno svago, una passione, il suo mondo dove dimenticare la dura fatica del lavoro.
Mi insegnò come raccogliere l’insalata, mi fece vedere come le zucchine si “nascondevano” sotto le loro grandi foglie per ripararsi dal sole cocente. Ogni tanto tirava un ciuffo d’erba e da sotto la terra spuntava una carota, suscitando grande stupore in me. Ma ciò che amavo di più era quando le sue mani, ancora sporche di terra, mi offrivano un pomodoro rosso che mordevo con avidità finché la mia bocca si saziava del suo dolce e acerbo succo.

Ogni cosa aveva senso, i frutti raccolti erano attesi giorno dopo giorno.

Mio padre mi insegnò che nella natura bisogna avere pazienza, rispettare i tempi, non chiedere troppo, non più di quello che essa può dare. Altrimenti, prima o poi, la sua energia si esaurirà.

Purtroppo, abbiamo maltrattato, ferito e offeso la Terra.

Pensavamo di essere invincibili e di poter disporre a nostro piacimento del territorio che abitiamo, di poterlo adattare e trasformare secondo le nostre esigenze.

Ma noi siamo solo ospiti e avremmo dovuto rispettarla come tale, perché, come abbiamo recentemente constatato, tutto ciò che le abbiamo sottratto con arroganza, lei se lo riprenderà.

Mamma

I nostri occhi, dietro alle tapparelle, a spiare il suo ritorno, riesco ancora a sentire l’alito condensato che si sprigionava dal calore che usciva dalle nostre anime, troppo eccitate.

E poi, finalmente, la scorgevamo in lontananza, sulla sua bici rosa, carica di borse al ritorno dal mercato o di fatica al ritorno dal lavoro.

Noi fratelli, tesi a svelare segreti, nostra madre troppo occupata ad organizzare qualche sorpresa.
L’avevamo scoperta! Eravamo sicuri che, tra sacchetti e borse della spesa, si celassero
i regali di Natale, ma poi, che delusione, nessun regalo.

Chissà dove li nascose

Attimi che riaffiorano nella mia mente, in momenti strani, incoerenti. Chissà com’è possibile che alcuni rimangano ben fissi nella memoria, ne puoi addirittura sentire l’odore ed altri…puff, svaniscono per lasciar spazio a ricordi più recenti.

E’ la che la vedo, seduta sui gradini della scala esterna, noi attorno a lei ad ascoltare la sua voce che racconta favole e filastrocche (le stesse che poi ho narrato a mia figlia) e ad aspettare che il sole andasse ad “incastrarsi” dietro i colli
E’ lì che vorrei tornare, a sentire il fresco del marmo sotto di noi nelle lunghe ed afose serate estive, ad appoggiare la mia testa su di lei, a sentirmi protetta, a sentirmi dire che tutto va bene, a sentire le nostre risate confondersi col canto delle cicale.
Ad aspettare che il mondo, intorno a noi, si addormenti.

Vorrei ancora ritrovare quel suo sguardo che, di colpo, mi toglieva il tutto dalla testa.
Quello stesso sguardo che ancora mi tiene insieme.

La casa dove abitavamo, della quale mia madre ne era la regina, celava al suo interno diversi “nascondigli
La soffitta era abitata da un terribile mostro, un armadio, dall’anta cigolante, era il rifugio di un fantasma dispettoso.

La cucina era invece il porto sicuro.
Il “suono” delle stoviglie, la radio sintonizzata su vecchie canzonette. La sigla del TG che richiamava tutti a tavola per la cena, quindi pigiama e poi a letto.

Dove siamo ora? Dove possiamo ritrovarci se ora manca la “regina”?
Nei primi tempi il mio pensiero andava a lei quotidianamente, poi sempre più di rado.
Ora ogni intanto il mio sguardo scorge una sua foto e mi sento in colpa per non averla pensata più spesso, la vita però è così, ci porta sempre avanti ed a volte ci si può dimenticare ciò che abbiamo lasciato alle spalle, vero mamma ?

Tra alcuni giorni sarà la festa della mamma, ed il pensiero va a tutte le mamme, a tutte quelle persone che hanno cresciuto o che stanno crescendo un figlio
Mamma non ha sesso, colore o forma, mamma è la persona che cresce un bambino, lo aiuta, lo protegge
Gli dice “ti amo

Sono nata

14 APRILE ORE 14:30
Ecco, sono nata, un vagito mi annuncia al mondo

Li sentivo bisbigliare, i miei fratelli, e poi, come d’incanto, svanivano nel nulla.
Due fratelli ed una sorella, io la quarta.

L’intrusa

Sei anni tra me ed il fratello più grande, almeno due secoli quando si è piccoli
Gli altri due, gemelli.

In questo caso ciò che mi divideva da loro, non era tanto la differenza di età quanto la loro intesa
Io, la più piccola, sono “arrivata” più o meno per caso.
A dire il vero ancora non riesco a capire il significato “nata per caso”, diciamo che, dopo tre figli, averne un quarto era un impegno non indifferente ed i miei genitori si sono distratti un attimo.

Ecco sì, potrei dire che casualità e distrazione, in questo caso, possano essere sinonimi

Tornando a ciò che precedentemente ho scritto, pensavo ci fosse, nei bisbigli dei miei fratelli, una sorta di magia perché subito dopo erano introvabili
Letteralmente sparivano

Un po’ alla volta capii che la magia consisteva nello svignarsela lestamente, per non avermi con loro
Ero considerata una palla al piede!

Non mi destreggiavo ancora bene con la bici, mentre loro sfrecciavano sui marciapiedi e per le viette del paese
Correvano sui campi arati, mentre io ero ancora impacciata nel superare i solchi dell’aratro.
Essendo loro più grandi, erano anche responsabili della mia incolumità,
Mio padre era molto dolce e complice, mia madre era severa, solo oggi, essendo mamma, posso dire “giustamente severa”, ma all’epoca i miei fratelli trovavano ingiusti i suoi rimproveri per tutte quelle volte che tornavo con le ginocchia “sbucciate” o i vestiti strappati.

Quindi perché avermi tra i piedi?

E poi ero la “cucciola” di casa, con tutti i vantaggi (per me) che ciò comportava e, di conseguenza, anche il risentimento dei miei tre “fratelloni”.
Fratelloni, li chiamavo così, e li chiamo ancora adesso così.
Avrei voluto seguirli sempre, erano i miei punti di riferimento, i miei esempi.
E poi arriva l’adolescenza, le regole iniziano ad essere un po’ troppo strette.

Le raccomandazioni dei miei fratelli maschi esagerate, quelle di mia sorella oppressive.
Ormai sono “grande”, pensavo, riesco benissimo a cavarmela da sola
Tranne tutte le volte che dovevo ricorrere a loro per venir fuori da qualche situazione intricata, con un po’ di vergogna da parte mia ma anche con tanta riconoscenza

Gli anni ora ne sono passati tanti, le distanze si sono ridotte, siamo ormai coetanei ma loro rimangono sempre i miei fratelloni ed io la loro sorellina

Da bambina sognavo le punte

Sento il vocio del pubblico, a volte una risata od una esclamazione, più forte di quello che il luogo si attende, seguita da diversi “ssst” che la zittiscono, ed occhiate che la inceneriscono.

Le luci della sala si attenuano, di lì a poco un oboe intona un La, con discrezione, quasi timidamente, a questo si affianca la nota prolungata del primo violino e così di seguito gli altri strumenti si associano fino a diventare una sol nota che piano scema e tace per lasciare posto all’applauso che accompagna l’entrata del direttore d’orchestra.
Qualche colpo di tosse ne approfitta dell’ultimo istante di concentrazione degli orchestrali e poi, dolcemente, l’ oboe, lo stesso che poco prima ha intonato il La, da inizio al primo movimento.

Il “Lago dei Cigni” inizia, io sono agitata, è la mia prima volta con tutto questo pubblico e, quel che è peggio, devo aspettare circa mezz’ora prima d’entrare in scena.
Tutti mi hanno rassicurato, mi hanno detto “la parte l’hai studiata bene e sei brava”, sì è vero ma la mia agitazione non diminuisce per questo.
E’ giunto il mio momento, sono concentrata, entro in scena, danzo come mai prima, la musica mi avvolge, il principe mi solleva, volo leggiadra come un cigno e…

…IL SUONO DI UNA SVEGLIA?

Ma… Chi mai porta con se una sveglia al teatro dell’opera?

E non la spegne!

La sveglia continua a suonare senza rispetto fino a che…

NOOOO

Apro un occhio, poi l’altro, il mio cuore batte all’impazzata, guardo intorno a me, frastornata, incredula, arrabbiata.

DELUSA!

Il sogno della mia vita, ricorrente, s’infrange contro una sveglia rauca ed irriverente.
Volevo essere una ballerina, con tutta me stessa.

Da bambina sognavo le punte

Volevo calzare le scarpette da danza, tenermi alla sbarra, eseguire passi dalla difficile pronuncia francese, alzarmi sulle punte e piroettare su me stessa.
Volevo ed invece la danza è rimasta solo un desiderio non realizzato.
Forse non sarei mai diventata una “etoile” e forse nemmeno una semplice ballerina.
A volte ripenso a tutti i miei sogni, ai miei desideri.
Ripenso ai “treni” transitati davanti a me, alle occasioni prese al volo a quelle non intuite o troppo faticose da cogliere.

Il pensiero mi fa sollevare impercettibilmente il labbro in una sorta di smorfia di disappunto.
Ma poi, quando capisco che un desiderio non si potrà avverare, un altro ne prende il posto, un altro obiettivo da raggiungere o cercare di raggiungere.

Un po’ come “L’Utopia” di Eduardo Galeano, che dice:
Lei è all’orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta di dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l’utopia? Serve proprio a questo: a camminare.

Ecco, penso che i nostri sogni servano a questo a non smettere mai di fare progetti di avere obiettivi.
A volte sembreranno più grandi di noi, molti di questi forse non riusciremo a raggiungerli ma sicuramente molti altri sì.
L’importante è avere un sogno là, proprio dov’è l’orizzonte, l’importante è provare a raggiungerlo, l’importante è non rimanere fermi.

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